Dietro alla fotografia pubblicitaria
Oggi abbiamo intervistato Riccardo Abbondanza, che ci ha raccontato molte cose sulla fotografia pubblicitaria.
Raccontaci di te e della tua storia con la fotografia.
Il mio amore per la fotografia non è stato un colpo di fulmine, ma è sbocciato piano piano. Sicuramente c’era già un germe in qualche cromosoma: mio nonno materno, rampollo ribelle di buona famiglia romagnola, prima di abbandonare gli agi della casa paterna per andare a fare il contadino, coltivando l’hobby della fotografia fotografò, archiviando con cura la sua ricerca, tutti i personaggi della sua Cesena, dal notabile al lampionaio, e tutti i luoghi pubblici e monumenti della cittadina.
Purtroppo quando l’interesse per la fotografia mi contagiò, tutta la ricerca del nonno era stata buttata via nel corso di un trasloco. Era il 1968 quando (con un paio di anni di ritardo rispetto alla sua uscita) andai a vedere il fantastico film Blow Up di Michelangelo Antonioni, ignaro che ciò avrebbe lentamente scatenato in me due grandi passioni: la Fotografia e la Musica. Il protagonista del film era un fotografo-personaggio, ispirato al londinese David Bailey, che si trova per caso e senza rendersene conto a fotografare la scena di un delitto, come scopre casualmente in camera oscura in una frenetica successione di ingrandimenti (blow up).
Fu questa scena, con la magia della luce rossa e della chimica che faceva apparire come dal nulla l’immagine, che mi rapì e mi fece diventare uno dei tantissimi fotoamatori degli anni 70, che stampavano le proprie foto nel bagno di servizio di casa. Alcuni anni più tardi, durante l’università, frequentai un corso di fotografia con l’intenzione di diventare nulla di più di un “fotoamatore evoluto”. Ebbi però la fortuna di avere tra i miei docenti il grande Guido Vanzetti, che con le sue capacità fece scoccare in me il vero amore per la Fotografia, tanto che ben presto diventai suo assistente. Mi trovai così di fronte ad una scelta obbligata: biologo o fotografo? Non ebbi dubbi.
Quali sono le caratteristiche della fotografia pubblicitaria?
È molto difficile dire quali siano le caratteristiche della fotografia pubblicitaria. Certamente la prima - ed irrinunciabile - è che comunichi correttamente un messaggio. Questo è il motivo per il quale un’immagine pubblicitaria non si improvvisa ed il più delle volte non nasce solamente dal fotografo, ma da un pool di esperti di comunicazione: a monte dell’immagine c’è infatti una “procedura” che vede coinvolti account, esperti di marketing, art director, copy… Ed alla fine c’è il lavoro del fotografo la cui libertà creativa spesso è limitata alla sola scelta della tecnica espressiva.
Le immagini pubblicitarie di still life (natura morta) richiedono una cura meticolosa ed una grande conoscenza tecnica, e vengono nella quasi totalità realizzate con il banco ottico, macchina fotografica che consente – grazie ai movimenti di basculaggio e di decentramento - di selezionare piani di messa a fuoco a nostro piacimento e di effettuare correzioni o distorsioni prospettiche di gran lunga migliori di quelle realizzabili in postproduzione, il tutto con una qualità dell’immagine notevolmente superiore a quella consentita dalla pur migliore reflex 35mm.
Per quanto riguarda poi tutta un’altra serie di caratteristiche della fotografia pubblicitaria, l’evoluzione è continua: dal rigore assoluto delle immagini degli anni ’70 e ’80, ove tutto doveva essere perfettamente nitido sia in termini di fuoco che di mosso, con indiscutibile equilibrio cromatico e compositivo (e di fotoritocco ancora non si parlava, quindi tutto era deputato alla fase della ripresa), si è passati alle immagini “sporche” degli anni ’90, nelle quali violare le rigide regole dei periodi precedenti con cross toning, mossi, sfocature ed altro, ha dato una nuova grinta ed impatto alle immagini. Per infrangere le regole a fini creativi occorre però conoscerle alla perfezione: un risultato pur strabiliante e meraviglioso se è casuale e quindi non ripetibile, è assolutamente inutile.
L’evolversi poi del fotoritocco ha dato una nuova scossa ed un nuovo grande strumento alla fotografia. Certamente queste nuove modalità espressive hanno dapprima “turbato” quanti come me si sono formati fotograficamente nel rigore più assoluto, facendoci magari storcere il naso. Ma giustamente la perfezione è noiosa, freddina, razionale e spesso emozionalmente povera, mentre le immagini pubblicitarie devono avere un buon impatto emotivo per trasmettere informazioni in modo rapido ed efficace, anche a livello del “non cosciente”.
Insomma, la Fotografia è un’emozione che mi cattura. Un’emozione che appartiene al mondo del non razionale, del non conscio, del non misurabile, del non codificabile. Fare un’opera emozionante significa lavorare col sentimento, non con la ragione. Una foto che sia solo tecnicamente perfetta può appena incuriosirmi, ma non va oltre. C’è un’anima sottopelle che rivela ogni volta la sua essenza invisibile e misteriosa, eppure palpabile; un’ombra che riesci quasi ad abbracciare se la “illumini” con il sentire, e non soltanto con un flash.
È vero che la fotografia pubblicitaria può influire nel concreto su un possibile cliente?
Certamente la fotografia pubblicitaria ha un grande influsso e potenzialità sui possibili clienti. Influsso che viene catalizzato ed enfatizzato anche dagli headline (volgarmente detti “slogan”). Come dicevo prima le immagini pubblicitarie devono avere un forte impatto emotivo per poter incuriosire e quindi catturare l’attenzione del possibile cliente. Entrano dunque in gioco, nella comunicazione pubblicitaria, la sfera emotiva e quella psicologica. È statisticamente provato che le immagini pubblicitarie possono cambiare le idee del consumatore sull’acquisto dei prodotti.
Sono tantissimi i settori – e tra questi in primis gli accessori di moda e i profumi – nei quali prima che vendere un prodotto si vende un’emozione che ci indurrà ad acquistare il prodotto che quell’emozione ci evoca ed al quale è legato. Pensiamo ad esempio agli spot dei profumi (è una regola della comunicazione, ugualmente valida per la fotografia pubblicitaria): il prodotto lo si vede solo a fine spot, quanto basta perchè lo spettatore/acquirente lo possa riconoscere anche visivamente. Ma tutto lo spot verte su una storia emozionale, per lo più “lui e lei” in situazione di forte e positiva tensione emotiva. Entra cioè in gioco il meccanismo psicologico del transfert dal reale all’immaginario: la mia donna non è meravigliosa e sexy come la protagonista dello spot né io lo sono come l’uomo, ma se uso lo stesso profumo mi ci identifico e quindi sono come loro.
Questo meccanismo, usatissimo in pubblicità, fu introdotto da Armando Testa alla fine degli anni ’60 per una famosa birra italiana: una meravigliosa e biondissima modella ,Solvi Stübing, declama sensualmente “Sono bionda, spumeggiante… chiamami “Xxxx”, sarò la tua birra!”. Bene, so di non poter mai avere una ragazza così bella ma bevendo quella birra in fondo è un po’ come se possedessi la meravigliosa ragazza. Altro meccanismo usato per rendere impattante una fotografia pubblicitaria è quello degli indici subliminali, ossia riferimenti visivi ai nostri istinti più forti (sesso e sopravvivenza) percepibili a livello del subconscio, in gran voga negli anni ’80 e ’90 ed oggi in forte declino. Fantastico lo scatto dell’americano Dennis Manarchy in cui, nei riflessi dello spruzzo di champagne che fuoriesce dalla coppa che una ragazza sta accostando alla sensuale bocca, si celano un’aquila dalle ali spiegate ed un fallo eretto. Ma abbiamo trovato teschi nelle gocce d’acqua alla base del bicchiere di un famoso whisky, o nuovamente un fallo eretto nelle pieghe del costume di una donna incinta che si tuffa, nella pubblicità di una famosa casa di abbigliamento premaman, o la scritta “SEX” nei giochi di luce dei cubetti di ghiaccio dentro un drink.
Nella fotografia di gioielli invece a me piace far leva su un altro aspetto del carattere umano: la curiosità. Per questo ogni volta che posso scatto le mie foto di gioielli (ma talvolta anche di automobili) creando immagini solo parzialmente descrittive e non esaustive: “suggerisco” le forme senza descriverle per catturare l’attenzione incuriosendo su come sarà l’oggetto, dando all’immagine anche un che di metafisico e ieratico.
Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine sulla fotografia pubblicitaria e sulle dinamiche della relativa comunicazione, per non parlare poi delle tecniche di illuminazione e di ripresa. Magari saranno oggetto di prossime discussioni!
Ringraziamo Riccardo Abbondanza per l'intervista rilasciata, vi rimandiamo al sito per maggiori informazioni:www.riccardoabbondanza.it