Il kitsch in fotografia

Il kitsch in fotografia

Abbiamo incontrato Pietro Collini, che ci ha raccontato come la fotografia stia perdendo la sua artisticità, in un meraviglioso articolo. Al fine di poter comprendere a fondo l’argomento in trattazione, sarebbe opportuno dare, come primo approccio, una corretta definizione di arte. Definire cos'è l'arte in realtà è un problema molto complesso perché a tutt'oggi non vi è assolutamente una concordanza di vedute. Personalmente ritengo che una delle definizioni più azzeccate sia la seguente, tratta dall'ultimo volume di Pio Tarantini: "L'arte insomma, sintetizzando in una frase significativa, è la capacità di esprimere nel modo migliore la lettura del mondo e dell'esistenza umana attraverso un linguaggio innovativo e adeguato a una cultura storicamente determinata." In questa definizione coesistono due fondamentali parametri che dobbiamo avere sempre bene in mente durante tutta la discussione:

  1. La capacità di saper cogliere, una corretta lettura dell'argomento che si desidera affrontare, cioè un alto livello culturale;

  2. L’abilità di saper essere realmente innovativi, aggiungo io: con genialità, cioè di trovare nuove soluzioni al problema.

In seconda istanza, affronterei ciò che affligge la corretta interpretazione critica delle immagini, vale a dire il rapporto tra visione della fotografia, la sua capacità di provocare emozioni e l'utilizzo di queste quale strumento analitico. Quante volte ho sentito uscire dalla bocca dei fotografi (sprovveduti):“Non c'è nulla di più gratificante di trasmettere un'emozione senza parole, ma con una "immagine". Fotografi che non sono solo fotoamatori alle prime armi, ma anche professionisti iscritti all’albo. Si cerca così dare conto della lettura di una fotografia, richiudendola nel cerchio di una semplice provocazione emotiva, evocativa di un ancestrale sentire. In primo luogo occorre tenere presente che l’emozione è un motto primitivo dello spirito, una reazione primordiale, istintuale, priva di ogni appoggio razionale. Non a caso l’emozione può essere scatenata da qualunque dei nostri sensi primitivi ed è comune agli animali.

2. Le emozioni

Neurofisiologicamente il circuito emotivo appartiene alle zone cerebrali filogeneticamente più antiche come il cingolo, il talamo e l’amigdala (denominate strutture limbiche), che trovano la loro elaborazione superiore nella corteccia prefrontale. Quindi l’emozione non prevede una sincronia con le strutture superiori proprie del ragionamento critico. Poi di quale “emozione” parliamo quando ci riferiamo alla valutazione di un’immagine? Piacevole? Spiacevole fino al disgusto? Intendiamo attribuire a una fotografia un significato estetico solo se ci rende emozioni positive? Sarebbe errato, in fondo anche l’orrido ha un suo fascino, una sua valenza estetica. Quindi attribuire una patente di contenuto estetico a una qualunque fotografia che inneschi un ritorno emozionale è illusorio. Anche pensare di attribuire all’immagine lo stato psicologico del fruitore, così come leggere in essa una transizione dello stato emotivo dell’autore verso il lettore è fuorviante. Nel secondo caso non esistono basi empiriche che dimostrino un serio link analitico, mentre nel primo manca completamente il giudizio critico. Tuttavia la risposta emotiva non è da condannare senza appello, nel caso in cui sia in grado di innescare meccanismi virtuosi, infatti essa diviene utile e valida se accompagna l’osservatore verso una comprensione critica dell’immagine e non è fine a sé stessa. Occorre quindi che lo spettatore non confini la sua valutazione critica soltanto in una sensazione emotiva, ma si avvicini alla fotografia con un occhio diverso, che gli consenta la lettura estetica e semiotica così da aprirgli le porte verso la piena fruizione dell’interpretazione critica anche sotto l’aspetto connotativo, oltre che a quello denotativo , dell’immagine fotografica che sta osservando. Il meccanismo che presiede alle reazioni emozionali si spiega se a livello mentale, alla strutturazione di visemi percettivi, cioè di frammenti d’immagini reali, che attraverso la modularità operazionale, cioè a un meccanismo di elaborazione e coniugazione dei visemi, si creano e affollano la mente del fruitore immagini visionali in grado di innescare un immediato turbamento. Questi visemi non contengono il codice connotativo e quindi il fruitore non è in grado di effettuare un’analisi noetica dell’immagine.

3. Il kitsch

Entriamo ora nel vivo del problema. Clement Greenberg ha affermato che, mentre l'avanguardia (intendendola in generale come l'arte nella sua funzione di scoperta e invenzione) imita l'atto di imitare, il kitsch imita l'effetto dell'imitazione; pone in evidenza le reazioni che l'opera deve provocare, ed elegge come fine della propria operazione la sola reazione emotiva dell’utente. Possiamo così arrivare a una definizione di kitsch come atto comunicativo che ha come unica finalità la provocazione di un effetto emotivo e che insiste molto, sulla tecnica della reiterazione dello stimolo, sul fatto che esso stesso sia assolutamente fungibile: l'osservazione potrebbe essere intesa in termini di ridondanza. I primi a usare questa tecnica persuasiva, mi riferisco ai nostri tempi, sono stati così detti i mass-media che hanno cercato di trasferire messaggi culturali di alto valore artistico verso una facile fruibilità, creando così una cultura di massa o "Massculture”, perdendo per strada gran parte degli aspetti estetici e contenutistici. Venendo alla fotografia, sottolineo subito come il kitsch trova quindi le sue radici anche nell'imitazione, intesa come reiterazione di spunti artistici precedenti come avvenne, per citare un caso emblematico, nei ritratti elaborati con il cosiddetto effetto Dragan, oppure con il voler facilmente provocare una reazione emotiva usando sintagmi ridondanti come spesso avviene nelle fotografie del paesaggio.

Pertanto gli ingredienti propri del kitsch in fotografia sono l’imitazione e la presenza nello stesso fotogramma di elementi ridondanti, che a livello mentale innescano visemi percettivi, atti a indurre solo reazioni emotive elementari. La fotografia kitsch per sua stessa necessità non richiede assolutamente una mediazione culturale per essere assimilata, ma al contrario, ha come primaria caratteristica l'immediata comprensione da parte del fruitore, il quale non deve fare il minimo sforzo mentale per poterne apprezzare i contenuti emozionali veicolati dai visemi percettivi. Parlando dell’atto imitativo di un’opera d’arte, si potrebbe pensare che le foto kitsch affondino sempre le loro radici in una fotografia colta, o comunque in un genere fotografico dove il contenuto artistico sia sicuramente preponderante, ma tante volte non è così: nella maggior parte dei casi i fotografi trovano la loro ispirazione in immagini già degradate da un avvilimento culturale quali ad esempio le fotografie pubblicitarie. In queste fotografie si raggiunge il massimo del kitsch, in considerazione del fatto che la loro funzione è di presentare un messaggio massificato, che abbia come caratteristica primaria l'immediata comprensione e che quindi sia completamente privo di ogni connotazione poetica, proprietà esclusiva delle vere opere d'arte. Infatti, la poetica presenta sempre come sua peculiarità fondamentale, un’ambiguità concettuale che pone costantemente l’utente di fronte alla necessità di dover porre mano alle sue competenze per arrivare a una corretta interpretazione del messaggio nascosto nel codice. Al contrario, quindi, nel kitsch il fruitore non deve fare nessuno sforzo interpretativo, non deve porre mano a un suo bagaglio culturale, anzi non è necessario alcun mediatore per afferrare il significato dell'immagine che ha di fronte, essa si propone come primordiale stimolo emotivo. In queste situazioni scopriamo di avere abbassato il contenuto artistico della nostra fotografia a livello zero, ad averla privata di ogni sua connotazione di opera d'arte, anche se da un punto di vista della forma essa si presenta particolarmente gradevole e tecnicamente irreprensibile.

4. La ridondanza

L'altra caratteristica che dobbiamo prendere in considerazione è la ridondanza. Come abbiamo accennato sopra per ridondanza dobbiamo intendere la presenza di elementi ripetitivi il cui scopo è di provocare e rinforzare reazioni passionali per lo più elementari. Per esempio analizziamo un paesaggio notiamo come gli elementi cromatici propri di una sovrasaturazione, l'acqua ripresa con tempi lunghi e analogamente dicasi per le nuvole che vengono ad assumere quel tipico aspetto morbido e serico, e il tutto condito da un classico sole all'alba o al tramonto, assumono il significato di una ridondanza di elementi emozionali il cui unico scopo è di rinforzare nel fruitore la certezza di una lettura corretta dell'immagine e, per contro, di un di un vero godimento di stimoli emozionali elementari. Analogamente possiamo prendere in considerazione quei ritratti in cui le pose stereotipate, che le modelle assumono con penosa costanza, la presenza di elementi ammiccanti del volto, svolgono la funzione di una sollecitazione psicologica ripetitiva. Ancora nella foto di street possiamo analizzare l’interazione tra uomo e cartellone pubblicitario, tra uomo e geometrie delle strisce stradali, tra mosso e sfondo.

Parlando delle fotografie naturalistiche potrei prendere ad esempio gli atteggiamenti stereotipati degli animali nell’atto di cogliere la preda, o altre amenità simili. E potrei continuare per ore elencando problematiche analoghe per ogni genere fotografico. Giustamente, allora voi tutti mi chiederete: “Ma tutto è kitsch? Cosa salviamo?”. Beh io credo che valga la pena ripensare un po’ al nostro modo di fare fotografia (e questo vale anche e soprattutto per il sottoscritto che si mette in causa pienamente). Cerchiamo di trovare idee, metodologie innovative per esprimere compiutamente le nostre passioni, così come hanno fatto i vari autori come Goldin, Gursky, Navarro, Gordin e tanti altri che dovremmo prendere non come esempi, ma come stimoli per migliorare la nostra produzione artistica. Ringraziamo Pietro Collini per l'articolo rilasciatoci, vi rimandiamo al suo sito per maggiori informazioni:www.fotocultura.eu

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