10 cose che non sapevi sullo psicologo

10 cose che non sapevi sullo psicologo

Abbiamo intervistato  Maddalena Corbo, per scoprire le curiosità che si nascondono dietro la vita di una Psicologa-Psicoterapeuta e tutto ciò che c'è da sapere prima di iniziare a fare questo mestiere.

1. 1. Che differenza c’è tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra?

Lo psicologo ottiene il titolo portando a termine un percorso di 5 anni di università più un tirocinio di un anno in strutture convenzionate in cui c’è un tutor abilitato alla professione, dopodiché è necessario  sostenere l’esame di stato che permette di iscriversi all’Albo degli Psicologi. Per svolgere l’attività di psicoterapia, lo Psicologo deve diplomarsi presso una Scuola di Specializzazione Universitaria oppure presso una Scuola di Specializzazione Privata riconosciuta dal Ministero competente (la cui durata è di almeno quattro anni).Lo Psicologo-Psicoterapeuta non prescrive farmaci, ma utilizza come strumenti la relazione, l’ascolto e la parola. La psicoterapia è un valido aiuto per l’elaborazione di eventuali traumi psicologici e per il superamento degli ostacoli che impediscono la normale espressione della maturità psicologica, bloccando la crescita dell’individuo. Lo psichiatra è un medico che ha conseguito la specializzazione in psichiatria. E’ l’unica figura professionale che può prescrivere farmaci.

2. Sfatiamo un mito: qual è la percezione più sbagliata che si ha sulla professione dello psicologo?

La percezione errata più comune riguarda la possibilità che lo psicologo capisca o possa interpretare qualsiasi cosa l’altro dica durante una semplice conversazione, con la tipica frase “con te allora non parlo altrimenti mi psicoanalizzi”, termine, tra l’altro errato ma ormai entrato nel linguaggio comune.

3. Ti capita spesso di psicoanalizzare partner, amici o parenti?

La professione di psicoterapeuta è un lavoro come tutti gli altri. Per quanto riconosca che sia un lavoro particolare, la vita privata di uno psicoterapeuta è bene che non sia oberata da un pensiero professionale nelle relazioni con le persone significative. Ammetto che non sia sempre facile, ma personalmente nelle relazioni personali tendo a non mettermi il “vestito” della psicoterapeuta.

La curiosità e l’attenzione al mondo dell’altro sono indispensabili. Le domande che pongo ai miei pazienti hanno proprio lo scopo di comprendere il significato intimo ed individuale che il soggetto attribuisce alla propria esperienza, alle emozioni e ai sintomi che presenta, senza giudizio o discorsi relativi alla moralità. Cerco sempre di trasmettere la mia curiosità, mettendo a proprio agio la persona che chiede aiuto.

5. Capita mai che, rispondendo a una tua domanda, il paziente menta? Come ti comporti in quel caso?

Se un paziente mente io non posso saperlo, perché non leggo nella sua mente! Accolgo quello che dice come qualcosa che in quel momento per lui è vero, e lavoriamo insieme su quello che emerge.

6. Di solito, come si svolge la prima seduta?

La prima seduta rappresenta un momento di conoscenza in cui la persona che chiede aiuto porta il suo malessere, in cui di solito circoscrive la difficoltà ad un ambito specifico (relazione di coppia, relazioni familiari...) e riflette sulle proprie aspettative sulla terapia. Lo psicoterapeuta si fa un’ idea della situazione senza dare direttive particolari, semplicemente ascolta e spiega il suo modo di lavorare e come verranno svolte le sedute.

7. A proposito, ma serve davvero a qualcosa quel lettino?

Il lettino è entrato nell’ immaginario collettivo come lo strumento privilegiato della psicoanalisi, che non è sinonimo di psicoterapia. Dobbiamo pensare alla formazione psicoterapeutica come un grande ombrello sotto il quale prendono vita diversi approcci. La psicoanalisi è solo un approccio, un modo di lavorare, che non sempre, tra l’altro, ricorre all’ uso del lettino. Storicamente il lettino ha avuto, come ci insegna Freud, lo scopo di rendere il paziente libero dallo sguardo del terapeuta/analista in modo da favorire le libere associazioni e il flusso di pensieri.

8. Dovendo portare avanti diverse terapie parallelamente riesci facilmente a spostare la tua attenzione da un caso a un altro o serve una certa esperienza?

Quando mi trovo in seduta con un paziente la mia attenzione è per lui/lei. Solitamente mi prendo un po’ di tempo per ripensare alla seduta appena terminata prima di accogliere un nuovo paziente nel mio studio.

9. Quali sono i casi più difficili da trattare?

Non esistono casi difficili, bensì complessi. Facendo riferimento alla gravità di una situazione (psicosi, malattie croniche, tossicodipendenza) questa può esser gestita ricorrendo alla collaborazione di altri specialisti (lo psichiatra ad esempio) che permette una presa in carico a 360 gradi della situazione, assicurando una messa in sicurezza del paziente che permette di lavorare meglio sugli aspetti psicologici.

10. Passare mesi a contatto con una persona crea dei legami: come fai a tenere separate vita privata e lavorativa?

Questo è un aspetto indispensabile, tenere la giusta distanza e mantenere una professionalità che dia sicurezza al paziente. Tuttavia, il legame che crei con un paziente direi che è la base per una buona terapia. Nella relazione terapeutica entrano in gioco tanti aspetti…l’affidarsi, il fidarsi, il sentirsi capiti e ascoltati. Il giusto grado di empatia è indispensabile in questo lavoro, ma senza farsi sopraffare dalla sofferenza di chi stiamo aiutando.

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