Cosa si cela dietro il lavoro di psicologo?
Matteo Ferrari, 26 anni ed è nato a Voghera (PV), luogo in cui ha conseguito gli studi liceali; ha frequentato la facoltà di Psicologia nell'Università di Pavia, laureandosi con lode nel 2018. Durante il suo percorso universitario ha frequentato diversi corsi paralleli che gli hanno permesso di affacciarsi saldamente alla realtà lavorativa, attualmente è uno psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di Psicoterapia Integrata di Massa. Il suo percorso lavorativo inizia nell’ASST di Voghera, in cui ha sperimentato diverse realtà come il CPS (Centro Psico-Sociale), il reparto di Psichiatria (SPDC) e una comunità protetta (CPA Villa Morini). Attualmente è un libero professionista e come la maggior parte degli psicologi ha scelto questo percorso perché, consapevolmente o meno, sentiva la necessità di conoscersi più nel profondo. Dopo aver studiato e dopo aver concluso un percorso di terapia personale, si è reso conto di quanto sia essenziale la figura di uno psicologo nella vita di ognuno e dei benefici che precedentemente, da scettico, riteneva impensabili.
1. In quali casi è consigliabile uno psicologo cognitivo comportamentale?
Matteo non crede che l’approccio cognitivo comportamentale sia più o meno consigliabile di altri approcci, anzi, si rivela certo che ormai debba essere superata questa idea che gli approcci siano compartimenti stagni sostenuti con fede come se fossero delle squadre calcistiche. Troppo spesso viene dimenticato che la terapia deve ruotare attorno al paziente e non al terapeuta o al modello di riferimento. In quest’ottica crede che un approccio integrato sia, per continuare la metafora, una nazionale di calcio, in cui vengono scelte le teorie e le tecniche più valide di tutti gli approcci e utilizzate in funzione delle esigenze e delle caratteristiche del paziente.
2. Che cosa cura uno psicologo?
Lo psicologo può “curare” diversi aspetti della persona. Matteo preferisce sottolineare “curare” virgolettato perché questa parola implica un sano e un patologico, mentre la realtà è un po’ più complessa. Nel pensiero comune alcuni sintomi possono essere visti come il problema stesso. Prendiamo come esempio l’ansia, che viene vissuta spesso come un problema circoscritto da eliminare, ma che in realtà è un campanello d’allarme fondamentale, che ci suggerisce (gridando) che c’è un problema più ampio alla base, che può essere delimitato al periodo attuale o di origine un po’ più antica. Per capirci meglio, molto spesso la sintomatologia è da considerarsi come le spie di una macchina. È vero che il problema che notiamo mentre stiamo guidando è che c’è una lampadina accesa che ci disturba un po’, ma è fondamentale che si accenda per evitare danni peggiori, come fondere il motore o uscire di strada per via di una gomma bucata. In questo senso il termine “curare” rischia di diventare fuorviante, perché è vero, lo psicologo cura anche il sintomo, ma più in senso lato lo ascolta e capisce quali aspetti della persona hanno fatto sì che si accendesse la spia.
3. Quale è il compito di uno psicologo durante una terapia?
È estremamente complicato sintetizzare i compiti di uno psicologo durante una terapia, ci sono aspetti più evidenti come capire l’origine dei sintomi, come quello di guidare il paziente ad una maggior consapevolezza di sé o di rendere un po’ meno spaventosi e inaccettabili quei lati di noi che rifiutiamo e che ci portano a vivere “con una gamba sola”. Lo psicologo però, svolge una serie di compiti meno noti alla luce del giorno, come quello di permettere al paziente di sperimentare una relazione sicura in cui mettere in gioco le parti più celate del Sé, oppure di svelare le dinamiche che non permettono alla persona di poter attuare un cambiamento significativo nella propria vita. Tale azione viene agevolata fornendo gli strumenti per cambiare, gradualmente, questa situazione. Se prendiamo l’esempio di prima, lo psicologo si chiede innanzitutto il motivo per cui non viene usata quella gamba (è rotta o a quella persona è stato insegnato a camminare cosi?), a come sta oggi quell'arto (fa male, è insensibile, è atrofizzato?)Si chiede quali strategie possa utilizzare il paziente per riprendere a camminare (se fa male appoggiare a terra il piede non sarà possibile che la persona inizi a camminare da un giorno all'altro, ma invece di saltellare conviene usare delle stampelle) e crea un ambiente sicuro in cui sperimentare le prime cadute, fornendo al contempo tutta la fisioterapia necessaria.